W i Coscritti!!! .. e per i Cospe Hip Hip Hurrà!!!
Il termine coscritti deriva da coscrizione che, altro non è che la chiamata al servizio militare: i coscritti sono quindi i giovani maggiorenni e abili al servizio di leva, presenti nel registro comunali di un tempo. In Italia la leva nel Regio Esercito è stata introdotta nel 1861 e, solo nel 1875, diviene obbligatoria: venivano chiamati alle armi tutti i giovani che avevano compiuto i 17 anni di età. Durante il periodo fascista si passò ai 18 e poi ai 20 anni per la chiamata al servizio di leva. Nel dopoguerra venivano chiamati alle armi tutti i giovani maggiorenni, con la ormai famosa “cartolina” che prevedeva di presentarsi alla visita medica per idoneità al servizio militare. Se si era abili si sarebbe partiti da casa per la naja, che minimo durava 12 mesi.
L’essere chiamati al servizio corrispondeva ad un riconoscimento pubblico di raggiunta maturità per cui il giovane veniva considerato pronto, ossia ‘abile’, ad entrare definitivamente nel mondo degli adulti. Fra gli altri, acquistava i diritti di frequentare le ragazze, di andare all’osteria, di sposarsi, di andare a vivere indipendentemente e di ereditare.
©Secco Gianluigi (Autore) – 2001 – tratto da “Mata” capitolo n°17
Archivio di raccolta dati http://www.venetrad.it/
Nasce da quì la tradizione dei coscritti nel nostro Agordino: il passaggio dei giovani ragazzi all’età adulta, una tradizione dal sapore iniziatico!
Nei nostri piccoli paesi di montagna, a partire dagli ultimi giorni dell’anno, avrete sicuramente notato lenzuola bianche e cartelli colorati con scritto W il 2022, o W il 2023 scritte in rima, prese in giro…. ma cosa significa tutto ciò?
E’ la nostra tradizionale festa dei COSCRITTI!
Ma chi sono oggi i coscritti? Sono ragazzi della stessa età (che abitano in un determinato paese) che festeggiano il passaggio all’età adulta, secondo antiche e particolari tradizioni ed usanze che differiscono da paese a paese.
In tutta l’area alpina, il segno di riconoscimento e’ il cappello dei coscritti: di norma nero, a tesa larga, come quello indossati all’inizio del ‘900, confezionato solitamente dalle ragazze del gruppo, con fiori di stoffa o di carta ed ornati con nastri colorati e campanellini.
I nastri colorati verde, bianco e rosso sul cappello a ricordare la chiamata alle armi nell’esercito italiano, cioè la vera origine di questa tradizione popolare. I coscritti si accompagnano anche da una bandiera italia, con ricamato l’anno della coscrizione, da loro confezionata e issata su un palo di legno intagliato. Il “compito” dei coscritti maschi è non perdere mai di vista la propria bandiera, che spesso i “vecchi coscritti” vogliono rubare per dimostrare che le “nuove leve” non sono poi tanto migliori di loro!!!
Fino all’ ultimo giorno dell’anno, i coscritti non si fanno vedere da nessuno, in attesa dello scoccare della mezzanotte, quando possono finalmente festeggiare l’arrivo del nuovo anno, interamente dedicato a loro. I coscritti sono portatori del nuovo, della giovinezza e dell’allegria a tutta la comunità: per questo devono “presentarsi” e farsi vedere alla Messa solenne del primo giorno dell’anno, ottenendo anche la benedizione del parroco! Ricevere gli auguri dai coscritti è un vero Buon Auspicio per l’anno appena iniziato!!!
I coscritti trascorrono la nottata e i giorni seguenti in giro per locali, schiamazzando, scherzando, cantando “Evviva i Coscritti” per i Cospe Hip Hip Hurrà” e facendo quanta più confusione possibile. il termine “Cospe” probabilmente deriva dalla tradizione di tirare un “cospetogn” o aringa affumicata con una corda, simulando una gran faticaccia, cioè quella riservata dal futuro!!!
I coscritti sono liberi i fare un pò come gli pare, nel limite ovviamente del possibile, senza incorrere in “sgridate” da parte delle autorità o dalle persone adulte, i Veci!!!
I coscritti di Laste di Rocca Pietore andavano nottetempo, nella vigilia delle feste invernali, a raccogliere attrezzi o beni lasciati normalmente dai paesani fuori dell’uscio di casa o del fienile (poteva trattarsi di zoccoli o scarpe come di carriole e badili o altro) che venivano accumulati alla rinfusa sul piazzale della chiesa in modo che il giorno successivo tutti li vedessero, costringendo i legittimi proprietari ad un recupero forzato. Per tutto questo non erano né perseguiti né redarguiti.
Contenuti di una intervista fatta a Laste di Rocca Pietore, nell’Alto Agordino (nel Luglio del 1999) a Lina Murer e al fratello Arnaldo (Lolo). ©Secco Gianluigi (Autore) – 2001 – tratto da “Mata” capitolo n°17.
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Solitamente, la sera del primo giorno dell’anno, tutti i coscritti dell’Agordino, si ritrovano per il Ballo dei Coscritti: un tempo si doveva raggiungere la frazione di Falcade Alto, dove vicino alla Chiesa c’era una sala da ballo… Ormai chiusa, negli ultimi anni coscritti si trovano tutti al Pala – Falcade.
Passeggiando tra le vie dei nostri piccoli paesi è possibile vedere sulle vecchie case, W 62, ad esempio: ecco quell’anno i coscritti avevano scritto il loro anno direttamente sui muri. Nel corso del tempo si è preferito fare lenzuola o cartelloni in modo da non “imbrattare” i muri delle case!
Ogni comune agordino ha le sue tradizioni: dal tipo di fiori da mettere sul cappello, al colore dei nastri con particolari significati, alle piume ma anche all’anno da festeggiare (solitamente si festeggia l’entrata nel 20° anno, ma ci sono alcune eccezioni come a Taibon Agordino).
I coscritti di Laste di Rocca Pietore
Durante tutto il mese di dicembre i coscritti si riunivano per andare a cordéla. Passavano in tutte le case de la vila dove c’erano ragazze da marito, giovani e meno giovani, a raccogliere i nastri colorati (cordéle) che ogni ragazza aveva già preparato pensando a chi donarli. La regola prevedeva che le coetanee (coscritte) provvedessero a fornirne un paio di metri per ciascun coscritto; le altre, uno solamente. Era importante ricevere in dono nastri larghi e di colore appropriato. Dimensione e tinte avevano infatti diverso significato. Quelli ritenuti troppo stretti, in segno di disprezzo, venivano poi legati dai protagonisti attorno alle scarpe; la stessa sorte toccava a quelli gialli, poiché tale colore era segno di gelosia. Il rosso significava invece simpatia o amore ed il verde, speranza. Tutti i ragazzi speravano di raccogliere il maggior numero di metri di cordela e, tanto più, rossi, poiché così l’apprezzamento sarebbe risultato chiaro! La sera dell’ultimo giorno dell’anno, tutti i coscritti si riunivano nella stua di uno di loro dopo aver chiamato a raccolta le ragazze da marito, specie le più attempate ritenute maggiormente abili nell’adornare i cappelli che i giovanotti avrebbero indossato il giorno dopo. Il simbolo più importante per il coscritto era infatti il cappello. Per ciascun giovane veniva preparato il personale copricapo con i materiali che egli era riuscito a reperire ossia il normale cappello nero acquistato, i nastri regalati e le piume, anch’esse acquistate o reperite in famiglia. Bisognava cucire per un capo, uno accanto all’altro, tutti i nastri ricevuti e fissarli poi sulla parte posteriore del copricapo, in modo che ricadessero poi sulla schiena del coscritto. Si passava quindi al lavoro delicato del fissaggio delle piume: le due meze, due mezze piume della coda del gallo forcello o fagiano di monte, ai lati e due o più piume di pavone nella parte centrale. L’uso delle penne di pavone appare recente e se ne ricorda l’adozione solo a partire dagli anni cinquanta. L’ultima operazione consisteva nel cucire tutt’attorno al cappello un largo nastro tricolore, chiaro richiamo al servizio di leva cui i ventenni si accingevano. Mentre le ragazze lavoravano, i coscritti seguivano attentamente tutte le operazioni; a lavoro ultimato, offrivano alle giovani un bicchierino e, dopo qualche danza, le accompagnavano alle loro case. In tempi più recenti, pare dopo la seconda guerra mondiale, fu introdotta, non si sa bene perché, una nuova cerimonia dal sapore carnevalesco: la benedizione del cappello. Questo era un compito che spettava ai coscriti vege, vale a dire i coscritti dell’anno precedente (quelli entrati nel 21° anno).
Uno di loro, travestito da vescovo, si recava nella stua dove era avvenuta la preparazione dei cappelli e qui, cantando in un dialetto misto ladino-latino, benediceva i copricapi uno per uno. La festa vera e propria aveva luogo il primo giorno dell’anno. I coscritti, prima di potersi fregiare del cappello avevano però ancora un ostacolo da superare, ossia dovevano acquistare il diritto di portare le piume dai coscriti vege. Già vestiti a festa e col copricapo in mano, si ritrovavano, prima della messa grande, presso il vecchio bar della Cooperativa dove trovavano ad aspettarli i coscritti anziani con cui contrattavano la cessione del diritto. Una volta fissato il prezzo, in denaro, il contratto veniva suggellato con il solito brindisi. Finalmente col proprio cappello in testa si recavano sul sagrato della chiesa dove li attendevano i diciannovenni, che, da quel giorno, potevano esibire a loro volta una sola mezza piuma di gallo forcello fissata alla giacca, indicando con ciò, la loro ambizione di futuro coscritto. Entravano quindi in chiesa, occupando i nuovi posti rispettivamente assegnati: i coscritti vege si trasferivano nella zona degli uomini lasciando il posto ai nuovi coscritti sul primo banco a sinistra guardando all’altare. A loro volta le mezze penne si installavano sul banco dei diciannovenni, sul primo banco di destra lasciato appena libero dai coscritti.
La messa non era ancora terminata che già i coscriti vege uscivano di chiesa per andare a preparare la sièra: chiudevano, cioè, con una corda, la scalinata che scende dal Col da Gesia, sbarrando il passo a tutti; scherzavano con le ragazze e offrivano ai presenti qualche bicchierino di grappa. Per passare era necessario omaggiare, con un brindisi, i coscriti vége, in segno di rispetto nei confronti di chi aveva già dimostrato di essere degno della comunità degli adulti. I nuovi coscritti, invece, dovevano penare un bel po’ prima di avere libero il passaggio. Sempre ostacolando il transito, altri coscriti vege tiravano sul terreno el ciuk, un ceppo legato ad una corda, mimando il tiro di un aratro, e altri ancora giravano con un cospeton, un’aringa affumicata legata a un cavo, tirandola di qua e dì là e fingendo una grande fatica. Finita la sceneggiata, lo scettro del comando passava definitivamente ai nuovi coscritti, i quali invitavano le ragazze al ballo da loro organizzato nella Sala dei Pompieri. Prima della costruzione dell’edificio dei pompieri volontari, i balli si tenevano nell’aia di qualche fienile o in case private. Verso la fine di carnevale, poi, i coscritti si vestivano da Matacinch e dopo pochi mesi se ne andavano a servire la patria.Contenuti di una intervista fatta a Laste di Rocca Pietore, nell’Alto Agordino (nel Luglio del 1999) a Lina Murer e al fratello Arnaldo (Lolo). ©Secco Gianluigi (Autore) – 2001 – tratto da “Mata” capitolo n°17.
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Buon anno a Tutti!