E’ da poco passata la mezzanotte del 3 dicembre 1908: circa 250000 metri cubi di dolomia si staccano dalla sommità della Quarta Pala di San Lucano, nella omonima valle, nota anche con il nome di Cime d’Ambrusógn.
La massa rocciosa, dividendosi in due grandi tronconi, si frantuma in grossi blocchi che vanno a distruggere il piccolo villaggio di Prà con conseguente morte di 28 persone ed il ferimento di altre 10. Viste le grandi difficoltà per il recupero dei corpi, solo 7 cadaveri poterono essere portati al cimitero di Taibon per la sepoltura, mentre altre 21 dovettero essere lasciate sotto le macerie.
Miglior fortuna ebbero gli abitanti della vicina piccola frazione di Lagunàz che, sfiorati solo dall’onda d’urto dell’immane crollo, riportarono solo ferite legate alla caduta di manufatti e poterono essere quindi alloggiati da parenti o amici nel vicino villaggio di Col di Prà o nella zona di Villanova, le cui case furono edificate anche per ospitare i superstiti della frana.
Non era del tutto un evento imprevisto: già nel 1865 una grossa frana si staccò dalle pendici del Framónt uccidendo due persone a Listolade. A causa di questo enorme crollo, noto come la Roa de Listolade, gli abitanti delle due frazioni di Prà e Lagunàz, nella vicina valle di San Lucano, non vollero farsi trasferire a sud di Listolade come proposto dalle autorità a seguito alla segnalazione di possibili crolli dalle Pale di San Lucano: si era venuta infatti a creare un’ampia fessura che avrebbe poi portato al crollo del 1908.
Oggi una piccola piramide rocciosa di circa 10000 metri cubi di roccia, il Pizét, rappresenta ciò che resta del triste evento franoso e, anch’esso separato dalla montagna da una profonda crepa, si sgretola a colpi di crolli, come quello che nell’ottobre 2011, porta lo sperone ad assumere la forma caratteristica del becco di un rapace. Alternati cicli di gelo e disgelo, il cosiddetto crioclastismo, scosse sismiche, e fenomeni di gelivazione porteranno al crollo anche di questo torrione, ormai strapiombante sulla valle.
Questa frana ha sconvolto non solo le genti dell’Agordino all’inizio del secolo scorso, ma anche i giornali del tempo hanno dedicato ampio spazio alla tragedia: la Domenica del Corriere dedicò illustrazioni alla vicenda e qualche anno dopo, lo studioso bellunese Rodolfo Protti, per anni direttore del Museo Civico di Belluno, scrisse un breve capitolo sulle frane delle Dolomiti da cui sono tratte le immagine che qui vengono presentate.
Grande impressione fece la distruzione della casa della Famiglià Benvegnù , ” seppellendo otto individui, dei quali quattro giacciono ancora sotto la guardia della grave mora…
L’ala sinistra della casa Benvegnù è rimasta in piedi: ma, sotto ai blocchi di roccia, due case sono scomparse, e in una, quattro, nell’altra, dieci persone trovarono la morte”. Vorrei concludere questo breve articolo con le parole di Rodolfo Protti sulla tragedia di Prà:
” Ora, dopo tanto ammaestramento, non ci sarà più pericolo per gli uomini, che dovranno trasportare altrove le loro sedi; e, come taluno vaticina, cadranno nuovi massi che ostruiranno il corso del Torrente Tegnás, e, forse, spunterà un nuovo lago alpino, ancor più vago di quello di Alleghe, dove la solita folla cosmopolita, presto obliosa d’ogni sventura, correrà volentieri, senza un pensiero e un rimpianto, a pescar quiete e trote, sovra i poveri morti di San Lucano, presso ai quali farà buoni affari un hotel dell’Avvenire”
Oggi invece, per fortuna, la zona è diventata monumento di riflessione e pensiero per le vittime della tragedia ed una lapide sotto una croce invita a pregare e ricordare ciò che accadde nel lontano dicembre del 1908.