Si rincorrono in questi giorni notizie in merito alle attività di intrattenimento estivo sagre e feste che prevedono l’uso dei fuochi artificiali. Questo tipo di spettacolo da sempre porta con se un dibattito acceso tra i fautori della tradizione (per altro non realmente montanara ma piuttosto di imitazione degli eventi cittadini) che però dagli anni 90 si è radicata anche nei nostri territori; e chi vede in queste manifestazioni un danno per montagna e ambiente.
Quest’anno sui social commenti e osservazioni si fanno notare, a Limana la sagra paesana ritorna in forte auge proponendo anche lo spettacolo pirotecnico osteggiato da chi fa presente quanto possa disturbare i residenti, gli animali, la fauna selvatica, in controtendenza il comune di Santo Stefano di Cadore che li vieta proprio per tutelare uomini animali e ambiente.
LA RIFLESSIONE
La riflessione che si impone ha ovviamente 2 facce tra cui bisogna scegliere, una è quella dell’opportunità di offrire uno spettacolo che è ormai nella tradizione anche della montagna, i fuochi “chiudono” stagioni e feste, sono il gancio che trattiene le persone alle sagre fino alla chiusura, attirano villeggianti e turisti verso una meta, una festa piuttosto che un’altra.
L’altra faccia è quella che pesa il costo dei fuochi artificiali, sull’ambiente, perché lo spettacolo inquina, terrorizza la fauna selvatica, gli animali domestici, i bambini, ma non solo è potenzialmente pericoloso per l’assetto geologico dell’ambiente perchè “i botti” fanno vibrare le terre e forse quest’anno sono ancora più pericolosi viste le condizioni dei boschi e la precarietà degli accumuli di alberi schiantati.
E hanno un costo, certo non irrisorio.
Il comune di Santo Stefano di Cadore dichiara di risparmiare ben 7000 euro rinunciando allo spettacolo dei fuochi, soldi che in un momento economico non facile e di condizioni ambientali difficili visti i danni di Vaia faranno certo comodo (Fonte: Il Gazzettino).
Ma c’è davvero da scegliere solo tra rinunciare o no?
O si dovrebbe imporre una riflessione più profonda? Che alla fine dei giochi è sempre la stessa?
Cosa vogliamo per la Montagna? La conosciamo davvero? Siamo legati armonicamente ad essa o le imponiamo scelte economico-turistiche astruse e copiate da altre realtà che nulla hanno a che fare con noi?
La montagna richiede attenzione, è un ecosistema fragile in cui ogni cosa che si ottiene per poterci vivere è un traguardo strappato a fatica e quasi sempre precario (strade, agricoltura, condizioni meteo complicate) la montagna va forse vissuta per quello che può offrire, panorami, silenzio, scuola di vita.
La montagna Bellunese per fortuna non è stata trasformata in un parco giochi per turisti, ma ancora non cogliamo il valore di questo aspetto, siamo portati a lamentare carenze e difficoltà, ma ancora non riusciamo a “vendere” questa parte primigenia e vera della montagna e di noi stessi. Non riusciamo a proporre e far capire al turista – a quel tipo turista che NOI vorremmo venisse a condividere il nostro territorio – che qui c’è un patrimonio naturalistico vero, che va vissuto per quello che è. Senza make up, senza spa, senza (o con poca) cucina internazionale gourmet.
In Agordino (ma in genere in tutta la montagna bellunese) si può ancora cogliere una mela da un albero e mangiarla senza rischiare l’intossicazione da pesticidi…quali regioni vicine hanno questa fortuna?
Siamo cosi sicuri che quello che invidiamo ad altri sia quello che è adatto a noi? Siamo sicuri che il chiasso, la festa, i botti, siano adatti alla montagna? Cosa stiamo proponendo e A CHI?
La montagna è piena zeppa di persone creative, cresciute con una genialità fomentata dal saper fare quando c’è poco, piena di bellezza ispirata dall’ambiente, dai colori, dall’odore dell’aria.
Siamo sicuri che i fuochi artificiali “ci manchino” e che non possiamo proporre spettacoli di luci silenziosi, innocui e a impatto zero che possano strutturare e descrivere un racconto di tradizioni e generazioni di montanari? Io sono sicura di si…
La montagna non ha bisogno del chiasso…l’unico opportuno e utile è quello che si dovrebbe fare nei palazzi di Venezia, per chi decide della montagna senza conoscerla.
Lì la montagna dovrebbe urlare.