La maschera principale del carnevale di Canale d’Agordo è la Žinghenésta. La Žinghenésta è l’ unico personaggio femminile protagonista principale (o maschera-guida) di tutti i carnevali tradizionali bellunesi e Italiani.
Il carnevale tradizionale di Forno Canale ( così era chiamato il paese di Canale d’Agordo fino al 1964) è menzionato già a fine ‘800 da Eduardo Casal (Studi Bellunesi, 1896) e da Edoardo Luciani nel suo “A tordio par Canal“. La grande tradizione carnevalesca canalina è perdurata fino al 1915, anno dello scoppio della prima guerra mondiale e per ovvi motivi non è stata poi riproposta negli anni appena successivi.
Fortunatamente la Zinghenesta è stata ripresa e riproposta negli ultimi anni, grazie al Comitato Organizzatore, diventando una delle più belle Mascherate dell’Agordino, festeggiata la domenica prima del Martedì grasso.
Ricordiamo che esistevano 2 versioni tradizionali, molto diverse tra loro – La Zinghenestra e la “versione Zingara”
Conosciamo meglio i personaggi della Zinghenesta “moderna” – Le maschere Guida
Zinghenesta – è la maschera principale della mascherata, “annunciatrice del bello” e portatrice di abbondanza.
La Zinghenesta porta il classico cappello dei Coscritti ( giovani che nell’anno appena iniziato compiranno 20 anni) abbellito da tantissimi fiori di carta colorata, fatti a mano per la classica festa della Coscrizione, fatta il primo giorno dell’anno. Il vestito richiama il costume tradizionale tipico delle Valli Agordine: camicia bianca arricchita da un colletto con merletti e/o pizzi, sopra un un gilè nero chiuso che fa da corpetto. Sopra le spalle il classico scialle frangiato a fantasia floreale. La gonna nera “da festa”, appena sotto il ginocchio, adatta a balli e piroette: sopra la gonna il classico “grembiule” (garmal) fiorato e tanti fazzoletti a fantasia fiorata, annodati alla vita, che scendono lungo la gonna, creando una ruota di colori vivacissimi. Le calze sono a righe bianche e rosse e ai piedi calza i classici “scarpet” neri con ricamati fiori alpini. In mano porta un mazzolino di fiori colorati e, ovviamente non possono mancare i sonagli : alle caviglie, ai polsi e, a volte, anche nei fiori che ha in mano.
La Zinghenesta attende l’arrivo delle maschere provenienti dalla Val Biois ( Falcade) presso la “Casa delle Regole”, in piazzetta di Tancon a Canale d’Agordo. La Zinghenesta apre il corteo della mascherata per le vie del paese: danza per la strada facendo tintinnare i sonagli e campanelli in tutta la valle.
Matèl – è il personaggio “annunciatore del bello ” ( si noti anche la radice del nome Mat- uguale ai Matacìnch di Laste o ai Matazìn di Sottoguda o ai più famosi Matazìns del Comelico) e sono sono generalmente 2. Porta un alto cappello conico, foderato con stoffa colorata (solitamente rossa e/o blu). Dalla punta “scendono” fazzoletti fantasiosi e nastri sgargianti, che arrivano fino alle ginocchia: un tripudio di colori durante i balli e le corse del Matèl. Il viso è semplicemente colorato di bianco e racchiuso da un fazzoletto altrettanto bianco. La tunica (camicia) di colore bianco arricchita da tantissimi sgargianti nastri colorati, anch’essi arrivano ad altezza ginocchia: le braccia sono ricoperte da stoffa colorata: azzurra a destra e rossa a sinistra. Sopra la camicia, in vita, una cintura con appesi fazzoletti, nastri e a volte campanelli: “brondin e brondele” risuonano in tutto il paese, al ritmo delle danze e delle corse dei Matìei. I pantaloni alla zuava, fermati da calzettoni di colori diversi: rosso a destra ed azzurro a sinistra ( il contrario delle maniche!). in mano un bastone colorato, simbolo di potere e fertilità dalla punta “scendono” nastri e fazzoletti frangiati e risuonano i sonagli di cui è ornato. Il bastone viene spesso battuto per terra: simbolo antico per “risvegliare l’erba”.
Il Matèl è sempre accompagnato al proprio Lachè che differisce nell’abito solo per il cappello a punta più basso: compito del Lachè è quello di interagire con il Pubblico.
Paiàzo – Il pagliaccio della Zinghenesta a porta una lunga tunica di stoffa vecchia, tipo sacco di patate e probabilmente recuperata dai vecchi “teli o drappi” usati un tempo per fare i fasci di fieno; il vestito è arricchito da nastri e fiori colorati. In testa il classico cappello dei coscritti con i fiori di carta.. ma in più con piume di cappone ( pollo maschio castrato). Il pagliaccio agordino porta una maschera di legno, dall’espressione non molto amichevole, a coprire il viso e un bastone con nastri e sonagli. El paiàzo fa parte dei personaggi garanti del corteo, cioè permette lo svolgersi della manifestazione senza interruzioni, allontanando il pubblico dai personaggi principali.
Le Maschere sociali ossia le maschere che seguono le maschere guida: sono tutti personaggi caratterizzati dall’uso di maschere di legno, che per nessun motivo dovevano essere tolte. Il viso doveva sempre essere nascosto … e guai a farsi riconoscere! Le maschere sociali si distinguono in “Maschere da Bello” con vestiti eleganti e maschere chiare, dai lineamenti dolci e “Maschere da Brutto”, chiamate Puster invece, con maschere spaventose e abiti sgualciti, simbolo della vecchiaia e del tempo passato.
La Mascherata si conclude con tantissimi Sasìgn ( gli assassini), el Caoròn spion ( il caprone spione) e i Gendarmi (carabinieri).
I sasìgn girovagano per il paese, terrorizzando i passanti, scaraventando a terra le cataste di legna e arraffando e rubando quel che trovano in giro.
Fortunatamente “el Caoròn spion”, maschera rappresentante una testa di capra con corni, vede tutto con il suo cannocchiale, fa la spia e avvisa i gendarmi.
I sasìgn vengono finalmente arrestati dai gendarmi e portati in prigione: vengono rinchiusi in una “casa” in attesa di processo davanti ai giudici. I sasìgn verranno liberati (e perdonati per le loro misfatte) dai Màtiei: tutti si ritrovano sulla piazza a ballare, correre e danzare.
I Giudici però erano già pronti per il processo ma… gli assassini sono stati scarcerati… E allora chi si porta a processo? Qualcuno deve pur essere incolpato per tutti gli eventi negativi successi nell’anno appena terminato…
A processo finirà dunque il Carnevale stesso, personificato in un fantoccio (Mùt) di paglia: il Carnevale è colpevole quindi di tutte le cose negative accadute fino ad allora ( Vaia, grandi nevicate, faccende politiche locali e chi ne ha più ne metta!) ma, la colpa più grave è quella di finire proprio quel giorno, preannunciando la fine dei giorni “grassi”, libertini e di divertimento per l’arrivo dei giorni di astinenza e di digiuno, caratteristici della Quaresima che inizia proprio il giorno dopo (mercoledì delle ceneri). La condanna è definitiva: morte per impiccagione, eseguita immediatamente: questa tradizione prende il nome di “Pikà el mùt” ovvero “impiccare il fantoccio”.
Le Danze possono dunque continuare in piazza fino a notte fonda… e non può mancare il “gran ballo della Zinghenesta”, propiziatorio per tutti quelli che vi partecipano.
Bibliografia
- si ringrazia Dario Fontanive per la consulenza sulla tradizione canalina!
- Viva Viva carnevale, vol II ” Cante al Signor” collaborazione I Belumat-M.Trevissoi con tavole a colori di Antonio Fiabane
- Eduardo Casal, La Zinghenesta, tipografia Pietro Fracchia, Belluno 1899
- Lazzaris, Li gran dafai de tut el temp de l’an; Matez de Gigio Lazzaris da Zelat, Tipografia G. Lise, Agordo 1931
- Edoardo Luciani, L’anno, le ricorrenze religiose e civili, le stagioni, le occupazioni varie (Studio del Comune di Forno di Canale) Concorso A.I.M.C 1960/61, Tipografia Vescovile, Belluno, 1962
- Gianluigi Secco, Mata, la tradizione popolare e gli straordinari personaggi dei Carnevali delle montagne venete, Belumat Editrice da Grafica Antiga Cornuda, 2001
- sito comitato organizzatore https://www.zinghenesta.it/ e pagina Facebook
- Foto di Moira Manfroi che ringraziamo per la gentile concessione delle immagini!